L’importanza di ascoltare le proprie sensazioni

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Quante volte avete sentito parlare del sesto senso? Quella sensazione cosi personale,cosi individuale, la capacità di “fidarsi” di noi stessi, di una sensazione,di una percezione… Il punto focale è proprio questo: quanto ci fidiamo di noi stessi? E quando dico noi stessi intendo le nostre sensazioni, i nostri pensieri, i segnali  che il corpo ci invia… Siamo cosi poco abituati ad ascoltarci che finiamo per sottovalutare il grande ruolo che ha tutto questo. Proviamo per un attimo ad ascoltarci… Spesso, in terapia, mi capita di proporre ai pazienti tecniche di rilassamento e di visualizzazione, e noto una certa difficoltà da parte delle persone a sintonizzarsi con le proprie sensazioni. Che cosa ci spaventa? In realtà esse non sono altro che un aiuto per noi, laddove ci poniamo nella condizione di dar lovo voce e di poter comunicare. Un fastidio di fronte ad una richesta per noi difficile da gestire in questo momento, una gioia improvvisa di fronte ad una sorpresa, il battito del cuore accelerato quando ci troviamo a dover far fronte a qualcosa che temiamo… Le sensazioni fisiche sono una grande risorsa se sappiamo ascoltarle, perché il corpo “arriva” prima del pensiero: di fronte ad uno stimolo il corpo è pronto a reagire, ancora prima che il cervello elabori l’informazione facendoci valutare i pro e i contro. Proviamo allora a fidarci di queste sensazioni, ad ascoltarle e a capire cosa vogliono comunicarci… Iniziamo a dare spazio a questa grande risorsa che è già in noi, basta solo iniziare ad utilizzarla.

Gallina o aquila?La parabola dell’aquila:scegliere il proprio destino e riscrivere il copione della propria vita

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“Un giorno un uomo, attraversando la foresta, trovò un aquilotto, lo portò a casa e lo mise nel pollaio, dove imparò presto a beccare il mangime delle galline e a comportarsi come loro. Un giorno un naturalista, che si trovò a passare di là, chiese come mai un’aquila, la regina degli uccelli, si fosse ridotta nel pollaio a vivere con le galline.

‘Perché l’ho nutrita con mangime di gallina e le ho insegnato ad essere una gallina, e non ha mai imparato a volare’, replicò il proprietario ‘ Si comporta come una gallina e dunque non è più un’aquila’.

‘Tuttavia’- insistette il naturalista- ‘possiede ancora il cuore di un’aquila e può certamente imparare a volare’.

Dopo averne parlato a lungo i due si trovarono d’accordo nel voler scoprire se ciò era possibile. Il naturalista prese con delicatezza l’aquila tra le braccia e le disse ‘Tu appartieni al cielo, non alla terra: spiega le tue ali e vola’. Ma l’aquila si sentiva piuttosto confusa. Non sapeva bene chi era e, vedendo le galline che beccavano il mangime, saltò giù e si unì a loro. Per niente scoraggiato, il naturalista tornò il giorno dopo a riprendere l’aquila, la portò sul tetto della casa  e la incitò di nuovo dicendo ‘Tu sei un’aquila, apri le tue ali e vola!’. Ma l’aquila aveva paura di questo nuovo se stesso  che non conosceva il mondo; ancora una volta saltò giù e andò a beccare il mangime. 

Il terzo giorno il naturalista si alzò di buon’ora, andò a prendere l’aquila e la portò sulla cima  di una montagna. Qui sollevò in alto la regina degli uccelli e cercò di incoraggiarla dicendo ‘Sei un’aquila, appartieni al cielo e alla terra, apri ora le tue ali e vola!’ L’aquila si guardò intorno, guardò in giù verso il pollaio, guardò in su verso il cielo. Ma non volò ancora. Allora il naturalista la sollevò verso il sole e l’aquila cominciò a tremare e piano piano aprì le ali. Infine, con un grido trionfante, spiccò il volo verso il cielo. 

Può darsi che l’aquila ricordi ancora le galline con nostalgia, può darsi anche che di tanto in tanto torni a far visita al pollaio. Ma per quanto si sa non è più tornata a vivere come una gallina”

Proprio come l’aquila, chi ha imparato a considerarsi come in realtà non è, può prendere una nuova decisione e vivere secondo le proprie reali potenzialità. Ognuno può scegliere il proprio destino e riscrivere il proprio “copione” in favore della propria individualità. Qualche volta è necessario un vero ‘salvatore’ pronto ad aiutarci, proprio come appare in questa parafrasi della parabola dell’aquila di James Aggrey.

Dott.ssa Valentina Melilli

340 4973544

valentina.melilli@libero.it

Compiti a casa: suggerimenti per …i genitori.

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Spesso mi capita di sentire i genitori lamentarsi dei compiti a casa dei propri figli:come gestirli, come organizzarsi, come convincere i bambini a studiare e a fare i compiti. Sembra essere quasi più un pensiero del genitore che non del bambino stesso.

Partirò dal presupposto che i compiti devono essere un “problema” del bambino, una sua responsabilità. Il bambino deve sentirsi responsabile  di ciò che sta facendo, deve sentire che se non fa i compiti è un problema suo. Affinchè questo messaggio arrivi è importante che il genitore tenga d’occhio il proprio atteggiamento verso i compiti, ad esempio che non si faccia vedere particolarmente infastidito se il bambino non fa i compiti, come se fosse un’offesa personale; così facendo arriverebbe il messaggio che il tuo non fare i compiti è un’offesa a me, che è un problema mio, una cosa che crea un danno a me. In realtà non è così. Il bambino deve imparare che ha anche dei doveri: se “fa” ci saranno delle conseguenze positive, se “non fa” ce ne saranno di negative. È importante che si prenda le responsabilità delle non azioni, del non aver fatto bene. Questo non significa lasciare il bambino in balia dei suoi compiti.

Allora cosa può fare il genitore?  Innanzitutto aiutare il bambino a strutturare il momento dei compiti: quello dei compiti deve essere un momento ben preciso (ad esempio se il bambino ha i compiti solo nel fine settimana si potrebbe stabilire il venerdì pomeriggio o il sabato mattina come momento dedicato ai compiti; mentre se ha i compiti quotidianamente si stabilirà un preciso momento nell’arco del pomeriggio). Definire un arco temporale: Dalle….  Alle…., prevedendo delle pause come ad esempio per la merenda. La cosa importante è che una volta strutturato il momento dei compiti il genitore lasci il bambino libero di gestirlo, senza stargli addosso controllando se e come sta facendo In questo modo anche l’insegnante avrà modo di capire bene a che punto è quel bambino. 

Se è il genitore a suggerire ed aiutare il bambino, egli farà sempre più fatica ad autoregolarsi e ad essere capace ed autonomo.

Il compito del genitore è quello di aiutare il bambino a programmare il momento dei compiti, per poi lasciarlo solo a gestire un momento che è suo. È importante comunicare con atteggiamenti non verbali che siano neutri: se dico in tono arrabbiato “Allora, ti metti a fare i compiti o no?”  trasmetto l’idea che sta facendo un torto a me e che il problema è mio. Si potrebbe intervenire in questo modo: “Io ti suggerisco di fare i compiti adesso perchè poi dobbiamo uscire e non avrai tempo di farli”.  Sta poi al bambino gestire la questione, divenendo responsabile delle eventuali conseguenze.

 

Dott.ssa Valentina Melilli

Psicoterapeuta ad approccio strategico integrato

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